Sono passati più di 30 anni dalla fine delle guerre che hanno portato alla dissoluzione della Jugoslavia, ma quanto accaduto continua a risuonare nel presente. I modi in cui le persone guardano agli eventi bellici, alle migrazioni o alle conseguenti esperienze di sradicamento, condizionano tutt’oggi le politiche culturali, educative, sociali, urbanistiche e la diplomazia dell’area.

Il progetto Moj Dom – che letteralmente significa “Casa mia” – analizza le differenti interpretazioni delle guerre di dissoluzione della Jugoslavia, considerando i problemi che derivano dalla rimozione o dall’uso strumentalizzato della memoria. L’idea alla base è che la ricerca porti a una serie di riflessioni collettive sulle modalità in cui un evento traumatico di questo tipo influisce sull’elaborazione del senso di casa tra le persone che hanno dovuto migrare. Attraverso focus group e interviste in profondità, si approfondisce anche quali siano state le politiche in materia di migrazione e accoglienza nei paesi di arrivo.

Il progetto coinvolge nove partner da cinque paesi: Austria, Croazia, Germania, Italia e Slovenia. In ogni paese si mette a disposizione di ricercatori, ricercatrici e comunità locali un corpus di memorie e fonti orali sul tema. Inoltre si realizzano workshop nelle scuole secondarie di primo e secondo grado, nelle università e all’interno di centri educativi formali, che portano alla costruzione di un toolkit educativo multilingue.

La rielaborazione artistica delle testimonianze e dei materiali raccolti è parte essenziale del progetto. Nello specifico, si realizzano:

• una pubblicazione monografica incentrata sulle modalità con cui chi ha perso la propria casa ha raccontato lo sradicamento attraverso l’arte;
• un’esposizione museale;
• un cortometraggio;
• una performance teatrale originale basata sulle testimonianze raccolte.

Codici è capofila del partenariato.

Grafica ☉☉ Ivana Ognjanovac e Mare Šuljak