Le lingue dell’affinità e dell’appartenenza – il ruolo dell’italiano L2 e delle lingue ereditarie nella società aperta
Tre incontri di formazione curati da Daniele Brigadoi Cologna, sinologo e sociologo delle migrazioni. Nell’ambito del progetto Milano L2. Laboratori di lingua per donne e minori migranti (FAMI-2574).
Gli incontri si svolgeranno online, sono gratuiti e sono rivolti a persone che, a vario titolo, si occupano dell’insegnamento dell’italiano L2 (docenti, operatori e operatrici, volontarie/i, mediatori e mediatrici).
È possibile iscriversi a un solo appuntamento o a tutti, per farlo basta cliccare nei link corrispondenti qui sotto e inserire i propri dati.
3 maggio 2022 14.30-17.30
Lo stato attuale delle migrazioni internazionali e le implicazioni per il sistema dei servizi in Italia: panoramica aggiornata sulle sfide dell’inclusione e dell’accoglienza alla luce delle trasformazioni in essere sia sul piano delle migrazioni “spontanee” che delle migrazioni “forzate”.
https://us02web.zoom.us/meeting/register/tZMod-qtqDsoG9YpiSpaiDjxNWInl6gi0vbq
11 maggio 2022 14.30-17.30
Oltre alla L2: l’importanza delle lingue ereditarie e delle scuole ereditarie, ovvero perché il mantenimento della lingua madre è importante e perché va conciliato attivamente con l’insegnamento dell’italiano L2. https://us02web.zoom.us/meeting/register/tZ0vduCrrD4pGtPFiLNwDVibcg7l72fhK-5a
18 maggio 2022 14.30-17.30
L’insegnamento dell’italiano L2 come maieutica di cittadinanza e di educazione ai diritti nei confronti di soggetti vulnerabili. Un terreno su cui lavorare con maggiore consapevolezza e impegno, per trascendere la cornice della L2 come lingua del lavoro e di “sussistenza burocratica”. https://us02web.zoom.us/meeting/register/tZIqde2qqjkqHtdFZTDMYC846nne91fWppzk
Introduzione
Dal 1990 al 2020, il numero dei migranti internazionali nel mondo, stando ai dati OIM, è passato da 153 milioni a 280 milioni di persone. Ma la percentuale della popolazione mondiale che migra da un paese all’altro in questi ultimi trent’anni è rimasta sostanzialmente stabile: il 3,5%. Lasciare il paese in cui si è nati per affrontare le incognite, le fatiche e le sfide che implica la migrazione in un altro paese è dunque sia un’esperienza costante della contemporaneità, sia un’esperienza stabilmente minoritaria. A differenza della migrazione interna, che coinvolge un numero maggiore e crescente di persone che nell’arco della propria vita si spostano dal luogo in cui sono nati per trasferirsi altrove nel proprio paese, la migrazione internazionale è un’esperienza liminale, che resta appannaggio di una percentuale minuscola della popolazione mondiale. Non c’è da stupirsi, dunque, che sia da sempre e stabilmente fonte di ansie, pregiudizi, paure e sospetti. Questo è stato l’inquadramento cognitivo prevalente nel trentennio della grande globalizzazione (1990-2020), a maggior ragione lo resterà nell’epoca che si è aperta con gli anni Venti, in cui la prima delle grandi pandemie del nuovo millennio (ma certo non l’ultima), l’inasprirsi delle conseguenze globali e locali del cambiamento climatico, il ritorno delle guerre simmetriche in una cornice di conflitto multipolare vanno a impattare una situazione migratoria già caratterizzata ampiamente, negli ultimi dieci anni, dai connotati delle emergenze umanitarie scatenate dai conflitti che hanno sconvolto le società della sponda meridionale e orientale del Mediterraneo, il Centroamerica, l’Asia minore. Per quanto complessa e travagliata sia stata la fase espansiva delle migrazioni verso l’Europa e verso l’Italia nel segno della globalizzazione economica, quando i suoi principali motori erano quelli dello sviluppo economico di paesi emergenti, quella che si apre ora potrebbe essere assai più cruenta e difficile da gestire. La crisi economica e finanziaria mondiale a fine anni duemila ha contribuito a rendere le economie ed i mercati del lavoro dell’Europa meridionale assai meno permeabili alle migrazioni economiche, che difatti hanno visto quasi dappertutto una progressiva e drastica contrazione dei propri effettivi. Nel contempo, politiche dell’immigrazione sempre più restrittive hanno reso impraticabili i pochi percorsi regolari aperti all’immigrazione da paesi a basso reddito, tanto che nei medesimi anni in cui si sono andate intensificando le migrazioni forzate da paesi in guerra vi è stata una certa convergenza tra migrazioni spontanee e forzate. La guerra in Ucraina prelude a un’intensificazione di queste dinamiche e apre a scenari nuovi ancora più complessi, vero banco di prova per la tenuta etica e sociale delle istituzioni democratiche europee. Per questo è più importante che mai riflettere su quanto si è fatto, si fa e ancora si deve fare per non costringere il discorso pubblico e la riflessione politico-programmatica solo e sempre entro i margini della gestione delle emergenze. In questo senso, in Europa comincia a maturare una nuova consapevolezza attorno all’importanza delle cosiddette “lingue ereditarie” in cui si àncora il senso di sé di molte nuove minoranze, retaggio di un’immigrazione che conta ormai diverse generazioni, dove la L1 è spesso l’unica vera lingua ponte su cui può poggiare una solidarietà intergenerazionale sempre meno scontata. Altrettanto cruciale è il modo in cui si sceglierà di orientare l’insegnamento della L2, se mero strumento per le forche caudine della legittimazione dei diritti di residenza del migrante, oppure genuino vettore di appartenenza e di cittadinanza attiva. Perché la L2 è il necessario codice di accesso al linguaggio dei diritti e dei doveri, capace di garantire i soggetti più vulnerabili e di educare i cittadini di domani, in un’ottica che finalmente trascenda la cornice strumentale della competenza di base necessaria ad assicurare la sussistenza lavorativa e burocratica dei migranti nel paese in cui risiedono. Questo lavoro in parte è stato già avviato e poggia su solide fondamenta, in parte rischia di mancare inevitabili scadenze generazionali, che sarebbe saggio non mancare: il tempo per una maieutica della cittadinanza consapevole, infatti, è adesso.
Sinologo e sociologo delle migrazioni, si è laureato in Scienze Politiche all’Università degli Studi di Milano e ha conseguito il dottorato di ricerca in Civiltà, culture e società dell’Asia Orientale presso l’Università degli Studi di Roma – La Sapienza. Dal 1995 si dedica professionalmente alla ricerca sociale applicata nel campo degli studi migratori. Tra i soci fondatori di Codici ricerca e intervento, vi collabora con attività di ricerca, formazione e consulenza sui temi dell’immigrazione e della diversità culturale. Ha studiato la lingua cinese all’Università degli Studi di Milano e presso l’Università di Hangzhou in Cina. Dal 1994 al 2004 ha operato come mediatore linguistico-culturale per i servizi socio-educativi territoriali milanesi. Dal 2021 è professore associato di lingua cinese presso il Dipartimento di Scienze Umane e dell’Innovazione per il Territorio dell’Università degli studi dell’Insubria a Como, dove insegna dal 2006 nell’ambito del corso di laurea in Scienze della Mediazione Interlinguistica e Interculturale. È co-fondatore e vicedirettore del Centro di Ricerca sulle Minoranze (CERM) dell’ateneo insubrico nonché socio e Research Fellow del Torino World Affairs Institute. È condirettore della rivista OrizzonteCina, per la quale cura la rubrica CinesItaliani, ed è membro del comitato scientifico della rivista Mondo Cinese. Ha pubblicato diversi saggi e articoli sull’immigrazione in Italia e sul modo in cui il crescente pluralismo culturale, etnico, linguistico e religioso sta trasformando la società e la cultura italiane, nonché sulle dinamiche interculturali tra cinesi e non cinesi nella società cinese contemporanea.