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Giorni felici

  • Maggio 2020

Fin da quando è iniziata la quarantena, ci siamo chiesti quale pensiero potesse avere Codici su quello che sta succedendo. Abbiamo iniziato a condividere racconti della nostra dimensione più privata. Tutte e tutti a Codici, stiamo vivendo condizioni molto diverse e abbiamo sensibilità differenti. Tra noi c’è chi trascorre la quarantena in solitaria, chi con il proprio o la propria partner e chi con uno o più bambini piccoli. Sono vite, tempi, spazi e bisogni, quelli dei bambini e delle bambine, in cui è arrivata la notizia del virus e le conseguenze delle misure di quarantena e distanziamento, che si intrecciano alle vite, ai tempi e ai bisogni delle loro genitori. Le storie che seguono ci raccontano cosa si vede da lì, dentro case attraversate da stupori e paure, giochi e scoperte, porte che si vorrebbe poter chiudere e tempo ristretto o ritrovato.
I racconti hanno mosso i loro passi a partire da alcuni interrogativi che la redazione della rivista codici404 ha voluto porre per stimolare il pensiero e accompagnare la scrittura di chi ha voluto raccontarsi. Si è chiesto di descrivere sé e la propria famiglia, di pensare agli aspetti positivi e negativi di questo periodo trascorso in quarantena, di raccontare aneddoti legati alle parole tempo, silenzio, spazio, cambiamento, paura, di dirci di qualcosa che i propri figli e le proprie figlie hanno imparato. Di parlare di sé come genitore e come socio/a di Codici, di raccontarci su quali risorse si fa affidamento e di cosa, invece, si avrebbe bisogno, per affrontare questi tempi inaspettati.


Giorni felici
Umberto Biscaglia

Bell stops… Long pause

Scrivo ora mentre Giulia e Margherita stanno già dormendo. Sono trascorsi quasi due mesi dall’ultimo giorno di scuola di Margherita e poco più di un mese dall’ultimo giorno in cui siamo usciti solo perché ne avevamo voglia, senza uno scopo preciso o “autocertificabile”. Dirlo, scriverlo, raccontare il tempo mi è utile per mettere a fuoco il suo scorrere. Fuori la temperatura è stata mite, l’aria abbastanza tersa, il cielo azzurro e sereno.
Qui in casa siamo in tre, abbiamo giocato, lavorato, disegnato, guardato cartoni, Margherita ha fatto i suoi capricci per andare a letto e ci ha fatto la sua trentina di domande giornaliere, io e Giulia abbiamo incrociato i nostri sguardi e ci siamo dati forza, insomma… Direi che qui dentro la temperatura è calda e in aumento, i venti sono passati da deboli a moderati, il cielo è sereno-variabile.

…(gazing at zenith). Another heavenly day.

Sono diversi giorni che continuo a pensare a uno dei personaggi più evocativi e attraenti nati dalla genialità di Samuel Beckett. Winnie, la folle Winnie di Happy Days al centro del palcoscenico, sotto un sole scottante, in una luce chiara e violenta, è una donna che vive inspiegabilmente immersa fino alla vita nella sabbia (così è nel primo atto, poi la sabbia la ricoprirà fino al collo), non può spostarsi e può muovere solo il busto, le braccia e il collo. Winnie ha con sé un ombrellino e una borsa da cui tira fuori diversi oggetti (pettine, trucchi, specchietto, medicine e una rivoltella), parla in continuazione, si trucca, si pettina, racconta aneddoti, commenta il giornale e gli annunci di lavoro. Tutto il suo tempo è costretto da un chiacchiericcio incessante e assordante, che non lascia via d’uscita. Tutto il suo tempo è quello di una vita in bilico, tragica fino a quasi a prendere dei toni macabri. Un tempo subìto, scandito e costretto dal tintinnio di due campanelli: il primo quello della sveglia e l’altro che le indica il momento in cui andrà a dormire. Tutti i giorni uguali, tutti giorni felici e zeppi di parole, pensieri, gesti, ecc.

Ah yes, so little to say, so little to do and the fear so great, certain days, of finding oneself. . . left, with hours still to run, before the bell for sleep, and nothing more to say, nothing more to do, that the days go by, certain days go by, quite by, the bell goes, and little or nothing said, little or nothing done. (Raising parasol.) That is the danger.

L’inizio della quarantena mi è sembrato una grande centrifuga; ho avuto l’impressione che il ritmo quotidiano del prima anziché rallentare sia rimasto invariato e ingovernabile, come impazzito, ma stretto in uno spazio più piccolo, quello delle mura di casa.
Telegiornali, radiogiornali, quotidiani e testate on line mi somministravano ripetutamente notizie e ultim’ore; molte voci, cascate di dati, curve e proiezioni. L’imperativo sembrava quello di riempire il tempo che eravamo costretti a trascorrere in casa: podcast e newsletter, webinar e le lezioni di yoga on line, tutte le filmografie possibili e quelle impossibili, i libri mai letti, le playlist su Spotify e il sito porno gratis, anche Vodafone ha mandato ai propri clienti il pdf di Vanity Fair. Consigli, condivisioni, post e letture essenziali per la sopravvivenza. Prolificava tutto quello che possiamo fare a distanza, gli aperitivi su Skype, il corso di percussioni su Zoom, le riunioni online, i racconti in podcast, i meme e i video divertenti, e le telefonate: quelle che puoi finalmente fare, quelle che ricevi, quelle che fai per sapere se i tuoi familiari stanno bene, quelle che provi a fare per lavoro.
Ci prendevamo cura di noi (finalmente), arrivava il momento, l’anno zero; eccoli i nostri giorni felici, l’occasione sempre agognata per riprenderci gli spazi e i tempi.
Eppure tutto questo era tempo non richiesto, tempo che non sentivo mio, fatto di un ritmo che non riuscivo a reggere, un tempo che non poteva accompagnarmi.

Why say that again? I used to think . . . I say I used to think there was no difference between one fraction of a second and the next. I used to say . . . I say I used to say, Winnie, you are changeless, there is never any difference between one fraction of a second and the next.

Qui, a casa nostra, è arrivata la necessità di intrattenere la più piccola dei tre: i consigli che arrivano da ovunque e l’inevitabile noia dei bambini (e la nostra), i giochi e i “lavoretti”, le storie da far ascoltare e le storie da leggere, il “quaderno del pregrafismo” (Margherita è all’ultimo anno di scuola materna) e il riciclo creativo. Anche in questo caso, tutti questi stimoli non facevano altro che assordarmi, erano rumore irregolare e disturbante che quasi faceva scomparire le domande di Margherita e la fatica mia e di Giulia nel trovare le risposte, le sue richieste e i dubbi che scaturivano.
Avevo l’impressione che tutto quello che avrebbe dovuto riempire le mie giornate non faceva altro che immobilizzarmi rivelandosi dello stesso materiale della sabbia nella quale è conficcata Winnie. Le giornate sembravano così passare lentissime, fatte di niente, sospese, tese sul filo di un rasoio e senza nessuna possibilità di uscita.
Sono già diverse sere che Margherita mi chiede “Papà, perché queste giornate passano così in fretta?”; lei, cinquenne, non ha a disposizione il lungo catalogo dell’intrattenimento ai tempi dei Coronavirus, le sue attività e i suoi stimoli sono diminuiti, tutto a un tratto e senza alcun avviso la sua socialità si è azzerata, è un mese che non vede i suoi compagni e le sue maestre che prima frequentava otto ore al giorno (più di quanto frequentasse me e Giulia) e la sua quotidianità ha subito una contrazione per lei probabilmente inspiegabile o comunque non di immediata comprensione.
Eppure il suo tempo ha preso un ritmo, uno nuovo e inusuale, ha preso forma e lei lo sente. Sembra che i suoi giorni siano giorni felici, di una felicità piena di vita, malgrado siano appesi a un balcone dove andare avanti e indietro con i pattini o limitati a un fazzoletto di giardino sotto casa dove raccogliere fiori.
Solo da genitore ho scoperto quanto sia importante “tenere il tempo”, anzi “tenere i tempi”. Organizzare il tempo, conoscere il ritmo di Margherita. Assecondarlo è stato una delle prime abilità che ho dovuto acquisire cinque anni fa: all’inizio è stato sfiancante e noioso anche perché ricordo i primi mesi con ritmi sempre uguali e molto monotoni, un vero e proprio lavoro da catena di montaggio: pappa, ruttino, cambio, nanna…da capo; poi, man mano che Margherita cresceva abbiamo potuto aggiungere sempre un po’ più di groove al nostro tempo.
Così, durante la quarantena, dopo i primi giorni necessari per studiare il nuovo ritmo, tutti e tre noi l’abbiamo preso, l’abbiamo fatto nostro. Che le giornate ora siano ben scandite e che abbiano una loro forma ben definita, una loro armonia ha “rassicurato” Margherita, ha dato senso a questo periodo inconsueto e complesso. Dividere le giornate in momenti per quanto è possibile regolari le ha permesso di orientarsi, di non perdersi, di non rimanere sospesa, di attendere delle situazioni, prepararsi e prepararle. Così, per esempio, Margherita ha deciso di preparare il ritorno alla normalità, i regali che porterà ai suoi amici e i racconti farà alle maestre, il pic-nic che preparerà al parco e le rotelle della bicicletta che tirerà via, la festa che vorrà fare appena sarà possibile; è il suo modo per pensare al futuro e di mettere in campo le sue misure per la ricostruzione e per il dopo-quarantena.

Oh this is a happy day, this will have been another happy day! (Pause.) After all. (Pause.) So far.

Se in questo periodo riempire la quarantena è sembrato essere l’imperativo per anestetizzare questo momento, distraendosi senza non confrontarci con il silenzio, ci siamo ritrovati a riempire la nostra quarantena con nuove note, accordi e pause.
Le giornate nel clima sereno-variabile della casa passano molto simili una all’altra, possono sembrare inconcludenti, colme fino all’orlo di quella isterica felicità che accompagna Winnie. Ma siamo riusciti a trasformarli in giorni felici diversi, capendo i tempi di ognuno di noi tre, ricalibrando i propri, ascoltandoci e accordandoci, come in un coro.
Lo scampanellio che anticipa la chiusura di sipario qui da noi non arriva da dietro le quinte, decidiamo noi quando suonarlo e possiamo rimanere ancora svegli, sollevarci, scuoterci un po’ la sabbia che abbiamo ancora nelle tasche.

Sappiamo che il nostro non è un lungo monologo rumoroso come quello di Winnie.

Long pause.
CURTAIN.


Foto ☉☉Calcite – Primary Mineral – Smithsonian Open Access

Pirite, Grafite, Marcasite, Calcite, Aragonite e Quarzo sono alcuni tra i minerali accomunati dalla stessa origine: il polimorfismo ricostruttivo. È la reazione che permette la riorganizzazione praticamente completa della struttura cristallina. Questo tipo di trasformazione richiede una grande quantità di energia, non è facilmente reversibile ed è piuttosto lenta. Una metafora di quello che stiamo percependo in questi giorni.
Le immagini vengo dalla Smithsonian Open Access che un mese fa ha resto disponibili 2,8 milioni di immagini e dati in CC0.

Ricerca immagini a cura di Camilla Pin Montagnana

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