Sabato sera Sara era ad una festa con le amiche e lì ha incontrato Marco, un compagno di classe che le piace da sempre. Marco e Sara si sono baciati, lei era un po’ brilla, Marco l’ha invitata a casa sua e lei ha accettato. Una volta lì, Sara ha cambiato idea. Non si sentiva a suo agio a rimanere sola con Marco ed è tornata alla festa. Marco però si è arrabbiato molto e il giorno dopo, con gli amici, l’ha presa in giro. Fotografie, meme e commenti hanno cominciato a circolare online e sulle chat di classe. Sara sta male, non sa cosa fare o a chi chiedere aiuto. La professoressa di storia si accorge che qualcosa non va e durante la sua ora di lezione decide di domandare alla sua classe cosa stia succedendo.
All’interrogativo della professoressa segue un lungo silenzio: pesante, scomodo e carico di disagio. Storie, emozioni, sofferenze e convinzioni prendono vita in classe. Sara è da una parte, mentre le sue amiche, Marco, il suo amico Mattia e la professoressa di storia sono dall’altra, separati da un muro invisibile. Tutte le altre persone assistono con il fiato sospeso. Un risolino spezza la tensione e, nello stesso momento, Sara si alza e chiede di poter andare in bagno. Quel risolino è di Mattia che, da quel momento, inizia a parlottare con Marco a bassa voce prendendo in giro Sara e chiamandola puttana. Le due amiche di Sara non si alzano per andare a cercarla in bagno. Non sono d’accordo tra loro e danno due versioni diverse alla professoressa rispetto a ciò che è successo. Per un’amica quello che ha fatto Marco è grave: «Quando si dice no è no». Per l’altra è colpa di Sara, si è fatta fregare. La professoressa si sente in difficoltà di fronte all’atteggiamento dei ragazzi e al conflitto tra le ragazze. Anche se cerca di sollecitare tutte le persone coinvolte a intervenire, si sente molto frustrata e non sa bene cosa fare. Dopo alcuni minuti, che sembrano interminabili, Sara torna silenziosamente in classe. Chiede di lasciar perdere l’accaduto e di non parlarne più, ponendo così fine alla drammatizzazione.
La storia di Sara e Marco è contenuta all’interno del mazzo di carte Me & You & Everyone We Know, esito di un progetto europeo e di una ricerca partecipata. Il gioco si compone di immagini, parole e storie pensate per stimolare delle conversazioni pedagogiche sulla violenza nelle relazioni intime. Il finale aperto delle storie permette di immaginare scenari diversificati e di riflettere in modo complessivo sul significato di ciascuno di essi. Abbiamo portato in giro il gioco organizzando dei laboratori partecipativi. A chi vi partecipa chiediamo di lavorare in sottogruppi composti in modo casuale e di provare ad approfondire il punto di vista, i pensieri e le emozioni di un personaggio. Chiediamo ad ogni gruppo di immaginare la storia di ogni personaggio, il suo carattere, le sue preferenze, le sue fragilità. Ai sottogruppi chiediamo poi di continuare le storie da dove si interrompono, facendo interagire i personaggi in una simulazione improvvisata. In questa teatralizzazione non serve saper recitare, perché è un esperimento collettivo di osservazione, analisi e riflessione.
Un sabato mattina di fine ottobre 2022 eravamo a Brescia, ospiti di Teatro Telaio in occasione del Festival Trame. Abbiamo presentato il progetto Me & You durante l’incontro Avvicinare i giovani alla cultura/Avvicinarsi alla cultura dei giovani. Il giorno dopo, abbiamo realizzato uno dei nostri laboratori. Pensato per ragazze e ragazzi, l’incontro ha accolto anche qualche persona adulta incuriosita dal racconto ascoltato il giorno precedente. Il patto che ci ha unito è stato quello di lavorare insieme, senza differenza di età o di ruolo, e di confrontarci in modo orizzontale. I personaggi che hanno preso forma durante la drammatizzazione erano molto diversi, ma le loro storie molto simili, come se i loro comportamenti nascondessero, e in parte proteggessero, la loro intimità. Il rifiuto di Sara ha colpito l’orgoglio di Marco, che, piuttosto che essere preso in giro perché «lei non c’è stata», sceglie di prenderla in giro prima lui. Si sente in colpa, ma si lascia trascinare da Mattia, il suo amico. Mattia è a sua volta insicuro e perciò si mostra arrogante e maleducato. Insulta Sara, anche se non è coinvolto direttamente nella vicenda. La verità è che è segretamente innamorato di Marco e in questo modo gli sta vicino e si sente importante. Sara ha un carattere piuttosto fragile, la sua camera è per lei il posto sicuro e preferisce isolarsi piuttosto che aprirsi; considera sua sorella maggiore un riferimento da imitare, anche se non si parlano mai. Una delle due amiche di Sara, quella più comprensiva, in passato è stata vittima di bullismo, l’hanno derisa per il suo aspetto e per il suo accento. L’altra nasconde un segreto che non ha mai raccontato a nessuno. Per paura di mostrare la sua insicurezza, cerca in ogni modo di farsi notare. Anche la professoressa in passato ha vissuto episodi simili a quello di Sara e per questo è molto sensibile a queste tematiche, tanto che, quando ha scoperto che cosa è successo, avrebbe voluto proporre un flash mob a scuola per mandare un messaggio positivo in merito.
Attenzione, disagio, blocco, lasciati solә, empatia, ascolto, indifferenza sono alcune delle parole scelte per descrivere le emozioni e le sensazioni vissute e provate nel corso di quei pochi minuti di simulazione. Attraverso l’escamotage della storia sono molteplici i temi su cui abbiamo aperto il confronto, ad esempio le associazioni sbagliate tra l’abbigliamento e le intenzioni, la violenza di genere online, la difficoltà delle figure adulte di riferimento di intervenire in queste situazioni. Il personaggio di Sara, con la sua sofferenza e la sua solitudine, è stato uno specchio in cui riflettersi e riflettere su che cosa avremmo fatto al suo posto o al posto di ognuno degli altri personaggi. «Queste cose succedono, è la realtà», ha sottolineato una delle persone intervenute durante la discussione finale. Se è così il nostro laboratorio è un modo per ricordarci che questa storia ha molti altri svolgimenti e finali possibili, in cui la violenza non deve per forza essere normale, in cui un no vuol dire davvero no. In cui possiamo, liberamente, essere fedeli a noi stesse o a noi stessi.
Laura Boschetti e Maria Rimondi sono ricercatrici di Codici.
Foto ☉☉ Fabrizio Guarisco